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Mario Sughi, Sunday morning at the park. ©Mario Sughi/Bridgeman Images.
Raffaella Lops Agente letteraria.
Elena Camerone Psichiatra e psicoterapeuta.
Medico chirurgo (psichiatra, psicoterapeuta, neurologo, neuropsichiatra infantile, medico di comunità, medico di medicina generale, pediatra, pediatra di libera scelta)
Psicologo, Psicoterapeuta
Assistente sanitario
Educatore professionale
Infermiere, Infermiere Pediatrico
Fisioterapista
Logopedista
Ostetrico
Tecnico della riabilitazione psichiatrica
Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva
Terapista occupazionale
È obbligatorio avere letto, prima di ciascun incontro, il libro oggetto di discussione.
Per ottenere i crediti ECM è obbligatorio partecipare a tutti gli incontri.
Il corso è strutturato come un gruppo di lettura e prevede due incontri, distribuiti su altrettanti mesi, durante i quali, sotto la guida di Raffaella Lops, saranno approfonditi i seguenti due libri: “La chiamata. Storia di una donna argentina” di Leila Guerriero che racconta la storia di Silvia Labajru e “Lo sbilico” di Alcide Pierantozzi, diario di bordo di una mente smarrita.
“La chiamata. Storia di una donna argentina” di Leila Guerriero racconta, con approccio giornalistico ma pieno di originalità, la vita di Silvia Labayru, rinchiusa nel carcere dell’Esma durante la dittatura militare di Videla, in Argentina, e lì rapita e torturata. È un libro che narra la prigionia ma anche l’essere sopravvissuta, e la solitudine che si può riscontrare fuori, quando pensi che sia tutto finito. L’autrice riesce a costruire un affresco potente di quegli anni bui dell’Argentina, dai quali nessuno sembra uscire davvero indenne. Durante la discussione si cercherà di evidenziare la polifonia del romanzo, il metodo con cui si arriva ad avere un insieme di tutti i personaggi.
“Lo sbilico” di Alcide Pierantozzi è un diario di bordo, un memoir lucido e implacabile sulla malattia mentale, è un’autobiografia dettagliata, analitica, nella quale l’autore non risparmia nulla, a se stesso e a noi, al sistema che dovrebbe riconoscerlo e curarlo. Lo sbilico è la ricerca di una lingua abbastanza precisa da diventare appiglio, salvezza, il tentativo in extremis di dominare la propria mente. Nel libro si percepiscono un processo di sedimentazione lungo e un talento fuori norma. Le cellule del corpo impazziscono, gli effetti dei farmaci sono dappertutto, ci sono i tremori, gli spasmi – solo la parola è sotto controllo. E non si concede con nessuna retorica all’idea della guarigione.
Obiettivo del corso è approfondire il legame tra la lettura e la narrazione di sé: parlare di un libro, parlarne davvero, e farlo con altri, equivale a dire qualcosa di profondo su se stessi, sulle proprie relazioni, sul rapporto con i ricordi e con il presente. La lettura dei testi e le attività proposte durante gli incontri agevoleranno l’emergere di riflessioni personali nei partecipanti e permetteranno di costruire un’esplorazione comune nel corso del dibattito in classe.
29 ottobre, 18.00-19.30
Come i romanzi parlano di noi: La chiamata. Storia di una donna Argentina di Leila Guerriero;
26 novembre, 18.00-19.30
Come i romanzi parlano di noi: Lo sbilico di Alcide Pierantozzi
Sono disponibili 35 posti che saranno assegnati ai primi 35, tra gli iscritti, che si presenteranno all’incontro del 29 ottobre e che, come da pre-requisito richiesto, avranno letto il libro oggetto di discussione.
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Franziska Neubert, Sitter. © Bridgeman Images.
Judith Lewis Herman. Psichiatra, ricercatrice, insegnante e autrice statunitense.
Elena Camerone Psichiatra e psicoterapeuta.
Medico chirurgo (psichiatra, psicoterapeuta, neurologo, neuropsichiatra infantile, medico di comunità, medico di medicina generale, pediatra, pediatra di libera scelta, medico legale)
Psicologo, Psicoterapeuta
Assistente sanitario
Educatore professionale
Infermiere, Infermiere Pediatrico
Tecnico della riabilitazione psichiatrica
Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva
Terapista occupazionale
Judith Lewis Herman, che da oltre trent’anni si occupa del disturbo da stress post-traumatico, lo ha visto di recente riconosciuto dall’ICD-11, non ancora dal DSM5. La condizione di dominio e di subordinazione alla quale la vittima non può sfuggire, spiega la psichiatra, si perpetra in dimensioni individuali così come in contesti sociali: la famiglia, con i casi di abusi infantili e violenza domestica; le guerre che coinvolgono sempre più Stati; il traffico di esseri umani ormai business interazionale; in ambito politico con torture e campi di detenzione, laddove i potenti o distolgono lo sguardo o sono addirittura complici. Un rapporto di Amnesty International ha rivela i metodi inflitti alle vittime. Metodi che vengono letteralmente insegnati e, quando appresi autonomamente dai carnefici, originano, secondo Lewis Herman, dalla pornografia.
Isolata dal contesto sociale, sottoposta a controllo coercitivo e imposizione di regole, la vittima vive in uno stato di perenne terrore e vergogna, degradata e costretta a violare il proprio codice morale. Coloro che hanno subito sin dall’infanzia esperienze avverse svilupperanno autolesionismo, tendenza alla suicidarietà, abuso di sostanze, bulimia sessuale, con grave impatto sulla personalità, modificata nei bambini, degradata negli adulti. La sensazione di essere sporchi e disgustosi si accompagna nei survivors, soprattutto se vittime di stupro e incesto, al senso inaffrontabile di essere guardati, all’isolamento e al ritiro, alla ricerca disperata di un salvatore, senza che si impari a tutelarsi e proteggersi, ritenendosene non in diritto. Secondo le statistiche, l’81% di chi ha subito abusi nell’infanzia svilupperà disturbi borderline.
L’alleanza terapeutica si basa sui principi di fiducia e supporto, ma alla fine sarà il survivor responsabile della propria recovery. Il terapeuta propone al paziente, che non le conosce o le ha dimenticate, una relazione basata su regole. Studi di follow-up dimostrano come esistano fattori predittivi di una buona recovery: azioni intraprese contro la sottomissione, chiedere aiuto, non isolarsi. Quella del survivor si configura insomma come una vera e propria missione. Da parte sua il terapeuta dovrà risolvere questioni pratiche, a partire dalla sicurezza dell’ambiente in cui il paziente vive e alla sua indipendenza economica.
Altre strategie come la cura del corpo e della salute, la meditazione, l’esercizio fisico, tenere un diario, darsi una lista di obiettivi da spuntare, si sono rivelate efficaci. Assai utili i gruppi sociali di appoggio, dove si creano legami fortissimi e l’empatia per il trauma altrui è spesso maggiore che per sé, agenti potenti nella transizione verso la terapia individuale. La perdita successiva alla violenza andrà elaborata come un lutto, interrogandosi sul significato che si trarrà dall’esperienza traumatica. Domande che sconcertano perché la vittima non potrà che porsi la questione del male. Il terapeuta non avrà risposte ma potrà aiutare il survivor a trovare le proprie.
Lezione di Judith Lewis Herman.
La lezione è stata tenuta durante il XV congresso nazionale SPR-IAG (Society for Psychotherapy Research, Italy), “Psicoterapia in un mondo che cambia”, tenutosi nel novembre 2024 a Napoli sotto la direzione scientifica di Vittorio Lingiardi.
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Sally Pring, Pam. ©Bridgeman Images
Annelou de Vries. Responsabile del Dipartimento di Psichiatria Infantile del Centro di Expertise sulla Disforia di Genere dell’Amsterdam UMC.
Elena Camerone Psichiatra e psicoterapeuta.
Medico chirurgo (psichiatra, psicoterapeuta, neurologo, neuropsichiatra infantile, medico di comunità, medico di medicina generale, pediatra, pediatra di libera scelta, medico legale)
Psicologo, Psicoterapeuta
Assistente sanitario
Educatore professionale
Infermiere, Infermiere Pediatrico
Tecnico della riabilitazione psichiatrica
Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva
Terapista occupazionale
La keynote di Annelou de Vries, psichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza presso l’Amsterdam UMC/Levvel – Amsterdam Academic Center of Child and Adolescent Psychiatry, è stata registrata durante il XV congresso nazionale SPR-IAG (Society for Psychotherapy Research, Italy), Psicoterapia in un mondo che cambia, tenutosi nel novembre 2024 a Napoli sotto la direzione scientifica di Vittorio Lingiardi.
La psichiatra olandese, il cui principale interesse clinico e di ricerca riguarda gli adolescenti transgender, illustra il cosiddetto “approccio olandese”, ripercorrendone la storia pionieristica. Risale alla seconda metà degli anni ’80 del secolo scorso l’istituzione di una clinica di genere a Utrecht per adolescenti e bambini. Allora, ricorda da De Vries, non ci rendeva ancora conto che anche i bambini potessero sperimentare disforia di genere o identità transgender e si offrivano solo interventi psicoterapeutici o di sostegno psicologico. Senza utilità, come già da un ventennio trattando gli adulti. Si iniziò allora a inviare i giovani pazienti ad Amsterdam, presso un endocrinologo che, dopo gli adulti, aveva iniziato a trattare con terapie ormonali anche adolescenti sotto i 18 anni. All’inizio degli anni 2000 le due cliniche si fusero e prese avvio il “protocollo olandese”. Tre le fasi del trattamento: l’utilizzo di bloccanti della pubertà, dai 10-13 anni, del tutto reversibile, per creare un periodo di sospensione che permetta all’adolescente di decidere; la somministrazione di una terapia ormonale, parzialmente reversibile, a partire dai 16 anni; l’intervento chirurgico, del tutto irreversibile, solo con la maggiore età. Una “standard care” proposta a “individui assegnati maschio o femmina alla nascita” – come li definisce la psichiatra olandese. Studi citati dimostrano il benessere psicologico degli adolescenti in trattamento, nonché la loro capacità di comprendere e di decidere del percorso di transizione proposto. Un aspetto comunque, quello psicologico, al quale prestare molta attenzione, data anche la copresenza di autismo o disturbi dello spettro autistico in questi soggetti. Più difficile interessare l’adolescente in transizione agli effetti sulla salute riproduttiva e sulla definitiva infertilità che lo attendono. Le statistiche recenti dimostrano un esponenziale incremento delle richieste di transizione di genere, che De Vries spiega con il clima di maggior accettazione nella società e con il coraggio di uscire allo scoperto, pur permanendo la transfobia. Tanto più, nota la psichiatra, nella svolta a destra e populista delle democrazie occidentali, citando gli Stati Uniti e pure l’Italia. Ma, nonostante le controversie e le critiche in atto, la posizione di Annelou de Vries è che il rifiuto del percorso medico non sia la soluzione, nella prospettiva di garantire a chiunque, anche ai più giovani, il diritto di scegliere la propria identità di genere.
Lezione di Annelou de Vries.
La lezione è stata tenuta durante il XV congresso nazionale SPR-IAG (Society for Psychotherapy Research, Italy), “Psicoterapia in un mondo che cambia”, tenutosi nel novembre 2024 a Napoli sotto la direzione scientifica di Vittorio Lingiardi.
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Copertina libro
Laura Pigozzi Psicoanalista, psicologa, filosofa, saggista e insegnante di canto.
Elena Camerone Psichiatra e psicoterapeuta.
Medico chirurgo (psichiatra, psicoterapeuta, neurofisiopatologo, neurologo, neuropsichiatra infantile, medico di comunità, medico legale, medico di medicina generale, pediatra, pediatra di libera scelta);
Psicologo (psicologo, psicoterapeuta);
Assistente sanitario;
Logopedista;
Educatore professionale;
Infermiere, Infermiere pediatrico;
Fisioterapista;
Ostetrica;
Tecnico della riabilitazione psichiatrica;
Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva;
Terapista occupazionale.
Cosa resta di una donna quando la maternità occupa tutto lo spazio, intimo e sociale? Perché, oggi come ieri, la figura rassicurante della madre continua a essere preferita a quella, più complessa e scomoda, di una donna come soggetto desiderante? È possibile essere madri senza smettere di essere donne? E quale riconoscimento ha oggi, nel nostro immaginario collettivo, una donna senza figli?
“Una madre non può essere tutto per una figlia o un figlio senza perdere qualcosa di sé e senza toglierlo a loro” scrive l’autrice.
Eppure, oggi più che mai, le madri sono immerse in una narrazione idealizzante che le esalta proprio in quanto sacrificali. Ma il rischio di una società che idolatra la madre e rimuove la donna ha un impatto penalizzante per la realizzazione di tutte, tanto nel collettivo che nel privato, e ancora troppe donne che non hanno avuto figli si dicono fallite.
Attraverso casi clinici, riferimenti psicoanalitici, letterari e cinematografi ci, e la storia di figure esemplari come Maria Callas e Camille Claudel, l’autrice riflette sulla complessità e le oscillazioni dell’essere donna per provare ad articolare la maternità in modo nuovo: una “maternità femminista”, che non annulli il femminile ma lo integri, un’esperienza trasformativa capace di arricchire la vita di una donna senza soffocarne la creatività e la passione. “La maternità non è alienazione se resta attraversata da un desiderio di donna. E allora una madre sa guardare i figli andare, perché lei stessa è ancora in viaggio.”
Acquistando il corso Non solo madri è possibile accedere anche a Riscoprire la donna oltre la maternità, una lezione di Laura Pigozzi.
CORSO 1
Lettura e studio di Non solo madri di Laura Pigozzi, Raffaello Cortina Editore 2025
14 crediti ECM
CORSO 2
Riscoprire la donna oltre la maternità: una lezione a cura di Laura Pigozzi
1 credito ECM
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Lee Heinen, Going Places. ©Bridgeman Images.
Matteo Lancini. Presidente della Fondazione Minotauro di Milano e docente presso il dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Elena Camerone Psichiatra e psicoterapeuta.
Medico chirurgo (psichiatra, psicoterapeuta, neurologo, neuropsichiatra infantile, medico di comunità, medico di medicina generale, pediatra, pediatra di libera scelta, medico legale)
Psicologo, Psicoterapeuta
Assistente sanitario
Educatore professionale
Infermiere, Infermiere Pediatrico
Ostetrica
Fisioterapista
Logopedista
Tecnico della riabilitazione psichiatrica
Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva
Terapista occupazionale
Viviamo in un mondo sempre più frammentato dove è molto frequente sentirsi isolati, soprattutto per i più giovani. Per questo gli adolescenti odierni ricercano gli adulti in modo più autentico rispetto al passato. Questo atteggiamento richiederebbe una postura più responsabile da parte di tutti noi, che siamo, invece, impegnati a sostenere che le nuove generazioni abbiano avuto troppo e siano state troppo amate. A quel punto meglio Internet, dove i giovani si rifugiano per lenire il dolore provocato dalla perdita della speranza, dal sentirsi soli in mezzo agli altri, senza condivisione e convivenza. Una nuova posizione adulta è invece oggi possibile. La capacità di identificarsi con i bisogni evolutivi generazionali e l’offerta di relazioni autentiche consentono alle ragazze e ai ragazzi di crescere e credere nella realizzazione di sé nel mondo attuale e futuro. È suonata la campanella, inizia l’ora di relazione. Lo psicologo Matteo Lancini ci parla di relazione e della responsabilità che gli adulti hanno verso le future generazioni.
Lezione di Matteo Lancini.
In collaborazione con Dialoghi di Pistoia
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Cathy Lomax, Mirror. ©Bridgeman images.
Paolo Migone Psichiatra e psicoanalista, condirettore della rivista “Psicoterapia e scienze umane”.
Elena Camerone Psichiatra e psicoterapeuta.
Medico chirurgo (psichiatra, psicoterapeuta, neurologo, neuropsichiatra infantile)
Psicologo, Psicoterapeuta
Assistente sanitario
Educatore professionale
Infermiere, Infermiere Pediatrico
Tecnico della riabilitazione psichiatrica
Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva
Terapista occupazionale
Dati l’alta affluenza e i positivi riscontri da parte degli iscritti, Synapsis riaccredita un pacchetto di quattro lezioni dello psichiatra e psicoanalista Paolo Migone.
Il disturbo borderline
Paolo Migone affronta un tema importante e dibattuto, che da decenni interessa gli psicoterapeuti: ripercorre gli aspetti descrittivi, storici, psicodinamici e terapeutici del disturbo borderline, in un excursus che arriva fino alle ricerche più recenti.
La lezione prende le mosse dalla nascita della parola “borderline”, originariamente aggettivo, diventata nel tempo sostantivo secondo alcune classificazioni diagnostiche. Se alla metà del Novecento il disturbo, associato alla schizofrenia (e per questo si parlava di borderline schizophrenia, in cui borderline era un aggettivo che significava “al bordo della schizofrenia”), collocava questi pazienti gravi in una terra di mezzo tra nevrosi e psicosi ma vicini alla psicosi, la valutazione cambiò radicalmente con Robert Spitzer. Lo psichiatra americano, a capo della task force incaricata di redigere il DSM-III del 1980, elencò una serie di criteri diagnostici dai quali emergeva un nuovo significato del termine “borderline”. Il paziente che verrà inizialmente definito come caratterizzato da una unstable personality (personalità instabile) sarà descritto non più come vicino alla schizofrenia bensì come impulsivo, arrabbiato, a volte molto depresso. Quindi con la nuova diagnosi potremmo dire che il paziente borderline non si colloca più vicino alla schizofrenia ma all’altra delle due psicosi maggiori, la psicosi maniaco-depressiva, oggi chiamata “disturbo bipolare”. Questa tendenza a dare priorità ai disturbi dell’umore peraltro caratterizzerà tutta l’impostazione del DSM-III.
La storia del disturbo borderline nel susseguirsi dei vari DSM è ripercorsa da Migone soffermandosi in particolare sul DSM-5, la cui sezione sui disturbi di personalità venne totalmente rinnovata su basi dimensionali e non più categoriali, ma che la stessa American Psychiatric Association decise all’ultimo momento di abbandonare giudicandola troppo complessa per il clinico e di collocarla nella Sezione III del manuale
Migone elenca i nove criteri diagnostici del disturbo borderline del DSM-IV (e quindi del DSM-5), sottolineandone gli aspetti problematici per quanto riguarda la validità di costrutto, tanto è vero che fu presa in considerazione anche la possibilità di eliminarlo dal manuale.
Nella parte storica, vengono passate brevemente in rassegna le numerose definizioni del disturbo borderline date già a partire dai primi decenni del Novecento, per mostrare quanti ricercatori, anche e soprattutto di area psicoanalitica, hanno lavorato attorno a questo quadro clinico.
Per approfondire i temi trattati nel webinar, si suggerisce di leggere il capitolo 8 del volume di Paolo Migone, Terapia psicoanalitica. Seminari (FrancoAngeli, 1995, 2010).
La diagnosi secondo i DSM
Dei cinque DSM (cioè le varie edizioni del manuale diagnostico dell’American Psychiatric Association) il corso accenna inizialmente al primo e al secondo rispettivamente del 1952 e del 1968 – privi di criteri diagnostici, quindi di scarsa importanza – focalizzandosi sulla rivoluzione del terzo, il DSM-III del 1980, che si è imposto superando come importanza l’ICD (ovvero l’International Classification of Diseases) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Il DSM-5 ha seguito le caratteristiche del DSM-III, introdotto in anteprima per l’Italia proprio da Paolo Migone sulle pagine della rivista “Psicoterapia e Scienze Umane” (dove ha presentato anche i successivi DSM e i PDM, cioè le edizioni del Manuale Diagnostico Psicodinamico). Il DSM-III è stato il primo ad adottare un criterio non teorico ma descrittivo, che consiste nel descrivere i sintomi come li vede il clinico: così facendo si cercava di superare lo scoglio delle diverse teorie che impediva ai clinici di trovare un accordo, e anche di salvare la psichiatria dalla crisi dell’attendibilità delle diagnosi. Infatti risultava, ad esempio, che vi fossero molte più diagnosi di schizofrenia negli Stati Uniti che in Europa: è stato possibile dimostrare che non si trattasse di un dato epidemiologico ma dovuto a diversi criteri per fare diagnosi.
Migone mette poi in luce alcune dicotomie dei DSM (politetico/monotetico, validità/attendibilità, e categorie/dimensioni), e discute il sistema multiassiale, purtroppo eliminato dal DSM-5. Vi era l’aspettativa che il DSM-5 riuscisse a superare la crisi dei DSM, però si può dire che il tentativo di raggiungere non solo l’attendibilità ma anche la validità sia fallito, e la comorbilità si è rivelata il tallone di Achille dei DSM. Per risolvere questa crisi il DSM-5 ha introdotto alcuni aspetti dimensionali e ha richiesto che in certe diagnosi alcuni criteri diagnostici fossero sempre presenti.
È stato poi formulato un nuovo modello dimensionale per i disturbi di personalità, alla fine escluso perché troppo complesso e perché si temeva potesse incidere sulle vendite, pertanto non si poté fare altro che reintrodurre tutte le diagnosi di personalità del DSM-IV, con i relativi problemi di validità.
Altre novità del DSM-5 sono l’introduzione del concetto dimensionale di “spettro” per vari disturbi e l’abbassamento delle soglie diagnostiche, che implica un aumento di diagnosi con un conseguente maggiore uso di farmaci, a vantaggio delle case farmaceutiche. Si è anche formato un movimento internazionale di boicottaggio del DSM-5, al quale hanno partecipato anche i capi delle task force dei due precedenti DSM.
Per un trattamento più approfondito sui DSM si può consultare il cap. 12 del libro di Paolo Migone, Terapia psicoanalitica. Seminari (FrancoAngeli, 1995, 2010), e il suo articolo “Presentazione del DSM-5” nel n. 4/2013 della rivista Psicoterapia e Scienze Umane.
La molteplicità dei modelli in psicoterapia
In psicoterapia esistono molti approcci, a volte addirittura opposti, per affrontare un medesimo disturbo. Come superare tale impasse? Una soluzione potrebbe essere applicare il metodo sperimentale per verificare l’efficacia delle diverse tecniche, ma è difficile attuare in psicoterapia gli “studi randomizzati controllati” (randomized controlled trials [RCT]) così come si fa con i farmaci (“doppio cieco”, uso del placebo, etc.)
Ma perché esistono tante scuole psicoterapeutiche? Migone sottolinea come occorra una prospettiva storica. Ad esempio, alcune scuole sono sorte come reazione ad altre, oppure per specifiche diagnosi o fasce di età. Inoltre certe scuole sopravvivono per semplice ignoranza degli altri approcci, o per tradizione storica, di fedeltà ai “padri fondatori”, quindi per motivi affettivi, o per quella che Migone chiama “insicurezza di identità”. Vi sono poi scuole che usano terminologie diverse ma dietro alle quali vi sono gli stessi concetti, e vi è una resistenza a prenderne atto.
Esiste un movimento per l’integrazione in psicoterapia, la Society for the Exploration of Psychotherapy Integration (SEPI), di cui esiste anche un gruppo italiano che Migone anni fa ha contribuito a fondare, che lavora in questo senso. La SEPI non mira all’eclettismo (che è clinico), ma all’integrazione teorica dei diversi modelli.
È importante conoscere modelli diversi, perché il paziente potrebbe sentirsi compreso meglio da un approccio piuttosto che da un altro. Non solo: idealmente lo psicoterapeuta avrebbe dovuto fare esperienza personale di certe sofferenze psicologiche perché è in questo modo che riesce a comprendere il paziente, e quest’ultimo a sentirsi compreso.
Lo psicoterapeuta quindi dovrebbe essere una persona che non si richiude nella “parrocchia” della propria scuola, altrimenti tenderà a vedere in tutti i suoi pazienti il modello che ha imparato.
La proposta che fa Migone è ritenere legittimi i diversi modelli psicoterapeutici in quanto guardano il paziente da una loro prospettiva, in una ricerca infinita. Non c’è un solo modo per conoscere “la verità”, che è inconoscibile. Occorre lasciar aperto il campo della ricerca in psicoterapia, affinché continuino a sussistere modi diversi di conoscere il paziente, altrimenti si arresterebbe il processo di conoscenza.
Per un trattamento più approfondito si può consultare l’articolo di Paolo Migone, “Come gestire la pluralità dei modelli in psicoterapia”, pubblicato nel n. 3/2023 della rivista Psicoterapia e Scienze Umane.
Inconscio psicoanalitico e cognitivo
L’inconscio psicoanalitico e l’inconscio cognitivo non sono due “fedi” rivali, ma due tipi di processi inconsci studiati maggiormente da autori della tradizione psicoanalitica il primo e di quella cognitiva il secondo. E si è capito che non esiste un inconscio, ma molti inconsci, e sia gli psicoanalisti che i cognitivisti ne sono ben consapevoli.
L’inconscio psicoanalitico è “dinamico”, nel senso che certi contenuti mentali possono passare dallo stato conscio a quello inconscio e viceversa. Un trauma ad esempio può essere dimenticato perché doloroso, ma in certe condizioni favorevoli tornare alla memoria. La psicoanalisi postula che il prezzo pagato per questa rimozione può essere un sintomo (ad esempio una depressione), che può scomparire se si riesce a ricordare ed elaborare quel trauma che era stato rimosso.
Un’altra caratteristica dell’inconscio psicoanalitico è quella di essere, come una volta lo definì Freud, un “calderone ribollente” di impulsi e desideri. Questo aspetto lo rende molto diverso dall’inconscio cognitivo, dove si parla invece di “cognizioni”, di problem solving, e di “processi” più che di “contenuti”. Il terapeuta cognitivo concepisce l’inconscio come rappresentazioni mentali implicite o tacite, cioè non consapevoli, le quali, se disfunzionali, vanno modificate, cercando di renderle consapevoli.
Si suol dire che il cognitivismo sia l’erede del comportamentismo, nel senso che si è passati dal semplice modello stimolo-risposta (S-R) alla concezione di una “mediazione cognitiva” che si infrappone tra S e R, cioè a un modello più complesso. In realtà i due padri storici della terapia cognitiva, Aaron Beck e Albert Ellis, provenivano dalla psicoanalisi, e volevano proporre un trattamento più semplice e più breve di quello psicoanalitico.
Per inconscio cognitivo si intende quella parte del funzionamento mentale che è inconscia non perché è stata rimossa, ma perché non è mai stata conosciuta, e quindi non potrà mai essere ricordata, né è utile che lo sia. Si può anche dire che l’inconscio cognitivo sia quella parte di noi “che non si può mai ricordare né dimenticare”, ed è una parte importantissima per la vita quotidiana perché regola i movimenti automatici (andare in bicicletta, camminare, ecc.). Ma riguarda anche i rapporti interpersonali e gli stili di attaccamento.
Per un trattamento più approfondito si può consultare il capitolo 5, dal titolo “Le ricerche sperimentali sull’inconscio psicoanalitico”, del libro a cura di Paolo Migone La terapia psicodinamica è efficace? Il dibattito e le evidenze empiriche (FrancoAngeli, 2021).
Quattro lezioni di Paolo Migone:
“Il disturbo borderline”
“La diagnosi secondo i DSM”
“La molteplicità dei modelli in psicoterapia”
“Inconscio psicoanalitico e cognitivo”
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Charlotte Orr, Therapy illustration. ©Bridgeman Images.
Miguel Benasayag Filosofo e psicoanalista, fondatore del collectif Malgré tout.
Maurizio Bettini Classicista e scrittore, Direttore del Centro “Antropologia e Mondo antico” dell’Università di Siena.
Maria Silvana Patti Psicologa, psicoterapeuta, specialista in psicologia clinica, terapeuta EMDR.
Elena Camerone Psichiatra e psicoterapeuta.
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Si propongono tre lezioni sul tema della guerra, quanto mai attuali visto che non solo il conflitto nel cuore dell’Europa è ancora in corso, ma un altro, altrettanto cruento, è nel frattempo scoppiato in Medio Oriente. Una realtà che impone di fare i conti con la tenuta psicologica e gli esiti psicopatologici di chiunque ne sia, o se ne senta, coinvolto, così come su interventi e trattamenti terapeutici necessariamente da ripensare.
Etica del conflitto e lotte fratricide
Non entra nell’attualità dei conflitti in corso la lezione di Maurizio Bettini, ma risalendo alle radici semantiche della terminologia di guerra, ne analizza gli aspetti umani, sociali, antropologici.
Se “guerra” è parola di origine germanica (“Wirre”) che ne evoca la turbolenza e si impone nel Medioevo, risalire ai lemmi romani significa riscoprire un’etica del conflitto ormai dimenticata.
Non era con il termine latino “inimicus”, riferito piuttosto a un nemico personale, che i romani identificavano il nemico della res publica, bensì con la parola “hostis”, ovvero un pari, con il quale era lecito fare la guerra. Sono le storie a ricordarcelo. Bettini ne racconta di emblematiche, tratte dall’epica greca, dalla mitologia romana, anche dalla memorialistica familiare.
L’Iliade, prima opera letteraria della tradizione occidentale, attribuita ad Omero, oltre i versi commoventi e gli episodi mitici è soprattutto una successione di scontri, crudelissimi, tra sangue grondante, ossa spezzate, midolli che biancheggiano. Il maggior valore per l’uomo greco, che preferiva la bella morte in battaglia a una vita lunga e meschina. L’episodio dell’incontro tra Diomede e Glauco ne rivela lo spirito, ovvero nobilitare se stessi attraverso il riconoscimento del nemico.
Tanto che, per i romani, non tutti i popoli erano degni di essere combattuti: neppure lo meritavano i perduelles, ovvero i predoni, i briganti. Solo il bellum iustum era dichiarato con rigoroso rituale.
Quanto appare mitologica l’antichità! Neppure una dichiarazione di guerra è stata consegnata dalla Russia all’Ucraina.È ancora una storia antica ad aiutarci a comprendere la contemporaneità: la guerra fratricida tra romani e albani. Uno scontro empio, vietato dagli dei dacché tra consanguinei, che richiedeva sacrifici preliminari. L’esito tragico, determinato dalla nota vicenda degli Orazi e dei Curiazi, contaminò l’antica Roma di sangue fraterno. Una nebbia di impurità che ora ammorba anche l’Europa, scossa da una guerra tra popoli da sempre fratelli.
Traumi di guerra ed esiti psicopatologici
La lezione di Maria Silvana Patti analizza negli aspetti pratici l’individuazione del trauma, gli esiti psicopatologici e l’intervento terapeutico cui sottoporre chi ne è vittima. Tra i numerosissimi conflitti in corso, ad aver risvegliato le coscienze dell’Occidente è la vicina guerra in Ucraina, che affliggerà di effetti psicopatologici dovuti all’esposizione prolungata non solo le vittime dirette, ma tutti coloro che, a varia intensità, la subiscono: la popolazione civile, i soccorritori, gli operatori di ong, i cronisti, fino a noi tutti che nell’infodemia attuale siamo passibili di un trauma vicario.
A premessa storica Maria Silvana Patti ripercorre gli studi legati ai traumi di guerra, fatalmente condizionati dall’evolversi delle tecniche militari fino alla comparsa delle armi di distruzione di massa. Già Senofonte nell’Anabasi riferiva di comportamenti depressivi nelle truppe. Ma i primi studi scientifici sulle reazioni traumatiche dei combattenti datano fine Ottocento, con il concetto di “trauma psichico” formulato dal neuropatologo tedesco Hermann Oppenheim. Inascoltato fino alle prove di nevrosi traumatiche notate nella prima guerra mondiale, quando i sintomi dei soldati venivano piuttosto ricondotti all’isteria e visti con sospetto per il disvelarsi di fragilità personali inconcepibili nella retorica di guerra. Sono invece valide ancor oggi alcune linee di trattamento emerse dal secondo conflitto mondiale, che vide il coinvolgimento massiccio della popolazione con esiti devastanti sui civili. Fino alla guerra del Vietnam, crudamente coperta dai media oltre la censura imposta. Noto è il fenomeno dei reduci gravemente traumatizzati che si affidarono ad “autocure” con uso di sostanze o alcool, ma anche a gruppi di “autoaiuto” poi confluiti in reti terapeutiche organizzate. Finalmente nel 1980 il DSM III riconobbe come categoria diagnostica il “disturbo da stress post traumatico”.
Nella contingenza dei conflitti attuali, la docente espone le fondamentali linee guida per interventi d’emergenza, analizzando sintomi ed esiti psicopatologici dei traumi di guerra. Con una particolare attenzione al trattamento dei bambini, considerando che i genitori stessi, pure vittime, ammettono difficoltà nell’assicurare sicurezza e protezione ai propri figli. Un problema attuale e futuro, perché quale società potrebbe reggersi su individui incapaci di investire nel proprio progetto di vita e qualora la trasmissione del trauma diventasse transgenerazionale?
Riflessioni sulla psicologia e sui traumi di guerra
Sono affidate a Miguel Benasayag, psichiatra e filosofo con un passato nella resistenza durante la dittatura argentina, le riflessioni sulla psicologia e sui traumi di guerra che i conflitti in corso riportano all’attualità. Condiziona tuttora l’attività clinica di Benasayag la sua esperienza di vita, raccontata nella lezione con toccante drammaticità. Imprigionato per quattro anni nelle carceri argentine per prigionieri politici, il giovane studente di medicina era incaricato segretamente dall’organizzazione in cui militava di prendersi cura dei compagni la cui integrità psichica era andata in frantumi dopo le indicibili torture subite dai carcerieri. Un annientamento spesso ancor più irreversibile dei danni fisici patiti, che pure il futuro medico, anch’egli torturato, cercava di lenire. Ponendosi già allora il problema di come curare qualcuno che dalla violenza è stato totalmente destrutturato, cercando quel punto che ancora tiene dal quale provare, lentamente, a ricostruire. Lo stesso interrogativo già posto in Francia dai sopravvissuti agli attentati terroristici e d’ora in poi in tutta Europa dall’arrivo dei profughi fuggiti dalla guerra.
Ma cosa significa oggi per uno psichiatra, uno psicologo, uno psicoterapeuta occidentale avere di fronte un paziente con traumi di guerra? Benasayag, riprendendo un tema a lui caro, fissa il contesto attuale in cui ridefinire la patologia: un Occidente in profonda crisi in cui la certezza di un mondo governato dalla ragione è ormai venuta meno. Dopo secoli di cartesiano antropocene (ovvero la centralità dell’uomo soggetto nell’universo oggetto) che già aveva iniziato a incrinarsi all’alba del Novecento, dovrà cambiare il nostro modo di abitare il mondo. Così come un clinico dovrà ripensare la relazione col proprio paziente: individuo cui la società contemporanea chiede di funzionare, quasi fosse una macchina, ma che invece più di tutti avverte come la promessa del futuro si sia ormai trasformata in minaccia. Sono in verità sempre di più – osserva Benasayag – a pensare che le pandemie, la catastrofe ecologica, e ora anche le guerre, siano quel futuro minaccioso già arrivato. Di questa realtà depressiva, che attanaglia anche i giovani fino ai bambini, il clinico deve prendere atto: non potrà più rassicurare i suoi pazienti, essendovi egli stesso immerso. Del Benasayag clinico è cambiata la prospettiva rispetto a quarant’anni fa, quando permaneva la speranza in un domani di libertà e democrazia fuori dalle mura di quel carcere. Il compito del clinico oggi, che Benasayag teorizza nella sua “terapia situazionale”, sarà dunque accompagnare il paziente nell’abitare un mondo in cui la minaccia è reale, assumendo il presente oscuro senza promettere, ammettendo anche di non sapere. Si tratta di costruire un’etica immanente, che trovi un modo di esistere qui e ora se non esiste più un fuori e un domani, perché, citando Beckett, è questo ormai il nostro tutto.
Etica del conflitto e lotte fratricide – Maurizio Bettini
Traumi di guerra ed esiti psicopatologici – Maria Silvana Patti
Riflessioni sulla psicologia e sui traumi di guerra – Miguel Benasayag
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Copertina libro
Maurizio Ferraris Professore ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Torino, presidente del Labont (Center for Ontology) e direttore di “Scienza Nuova”.
Elena Camerone Psichiatra e psicoterapeuta.
Medico chirurgo (psichiatra, psicoterapeuta, neurologo, neuropsichiatra infantile, medico di comunità, medico legale, medico di medicina generale, pediatra, pediatra di libera scelta);
Psicologo (psicologo, psicoterapeuta);
Assistente sanitario;
Logopedista;
Educatore professionale;
Infermiere, Infermiere pediatrico;
Fisioterapista;
Ostetrica;
Tecnico della riabilitazione psichiatrica;
Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva;
Terapista occupazionale.
Siamo bombardati da annunci sulla intelligenza artificiale, che incutono timore e persino terrore per il mondo che verrà. Ci sono molti motivi che polarizzano l’attenzione e l’ansia sull’IA, e tuttavia il suo più grande valore filosofico consiste nel gettar luce, per contrasto, su quella naturale. E ciò che si propone di fare in questo volume uno dei nostri filosofi più brillanti e autorevoli, sciorinando tutto il suo sapere e le sue capacità di tenere insieme una fittissima mappa concettuale, tra natura e tecnica, organismo e meccanismo, anima e automa. Un inebriante viaggio alla scoperta della mente, con un epilogo rassicurante, almeno per ora: la base organica che si riflette nelle funzioni superiori del pensiero fornisce tutto ciò che determina la differenza tra l’intelligenza naturale come forma di vita umana e l’intelligenza artificiale come processo meccanico.
Acquistando il corso La pelle è possibile accedere anche a Che cosa significa pensare nell’epoca dell’intelligenza artificiale, una lezione di Maurizio Ferraris.
CORSO 1
Lettura e studio di La pelle di Maurizio Ferraris, il Mulino 2025
15 crediti ECM
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“Che cosa significa pensare nell’epoca dell’intelligenza artificiale”: una lezione a cura di Maurizio Ferraris
1 credito ECM
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Tommaso Boldrini Ricercatore presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze della Salute, Università Pegaso. Professore Aggiunto presso il Dipartimento di Psichiatria, Università di Ottawa, Ontario, Canada.
Nicola Carone Professore associato di Psicologia dinamica Dipartimento di Medicina dei Sistemi, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Mariagrazia Di Giuseppe Professoressa associata in Psicologia Clinica, Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Guido Giovanardi Professore associato presso il Dipartimento di Psicologia Dinamica, Clinica e Salute, Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza di Roma
Vittorio Lingiardi Professore Ordinario di Psicologia Dinamica presso il Dipartimento di Psicologia Dinamica, Clinica e Salute, Facoltà di Medicina e Psicologia, Sapienza Università di Roma
Marianna Liotti PhD e Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia Clinica, Dinamica e Salute, Facoltà di Medicina e Psicologia, Sapienza Università di Roma
Laura Muzi Professoressa associata in Psicologia Clinica presso il Dipartimento di Filosofia, Scienze sociali, umane e della formazione, Università degli Studi di Perugia
Annalisa Tanzilli Professoressa associata in Psicologia Dinamica presso il Dipartimento di Psicologia Dinamica, Clinica e Salute, Facoltà di Medicina e Psicologia, Sapienza Università di Roma
Elena Camerone Psichiatra e psicoterapeuta.
Medico chirurgo (psichiatra, psicoterapeuta, neurologo, neuropsichiatra infantile, medicina di comunità)
Psicologo, Psicoterapeuta
Assistente sanitario
Educatore professionale
Infermiere
Infermiere pediatrico
Tecnico della riabilitazione psichiatrica
Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva
Terapista occupazionale
Vittorio Lingiardi torna a collaborare con Synapsis con un corso sulla valutazione clinica al servizio del trattamento. Articolato in dieci lezioni, tenute dallo stesso psichiatra e psicoanalista insieme ai suoi collaboratori e allievi, è un vero e proprio manuale, da vedere e ascoltare.
L’obiettivo è promuovere una descrizione e una comprensione della personalità e dei suoi disturbi, al servizio delle scelte di trattamento più idonee.
Nella cornice della psicologia dinamica, ogni tema viene affrontato in dialogo con la più recente diagnostica psichiatrica, le neuroscienze, la teoria dell’attaccamento, la psicologia cognitiva.
Si esamina il concetto di personalità alla luce delle sue componenti biologico-temperamentali, psicologiche (come i meccanismi di difesa) e sociali, nei percorsi di sviluppo, traumatici e non. Particolare attenzione è dedicata alle dimensioni che compongono le identità sessuali e di genere.
Vengono analizzati anche gli stili e i disturbi della personalità, con una trattazione critica delle loro caratteristiche clinico-diagnostiche e culturali e un inquadramento dei principali modelli di psicoterapia e trattamento.
Vengono infine illustrati i principali quadri psicopatologici dal punto di vista sia descrittivo sia dinamico: i disturbi psicotici e la schizofrenia; i disturbi bipolari e depressivi; i disturbi ansiosi, fobici, ossessivi; i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione; l’uso di sostanze; i disturbi da sintomi somatici e altre configurazioni cliniche.
Corso realizzato con il patrocinio della Society for Psychotheray Research – Italian Area Group.
1. Personalità, diagnosi, psicopatologia: un’introduzione – Vittorio Lingiardi
2. Trauma e attaccamento – Marianna Liotti
3. Meccanismi di difesa – Mariagrazia Di Giuseppe
4. Identità sessuale e di genere – Nicola Carone, Guido Giovanardi
5. Stili e disturbi di personalità – Annalisa Tanzilli
6. Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione – Laura Muzi
7. Ansia, fobie, ossessioni – Marianna Liotti
8. Disturbi bipolari e depressivi – Annalisa Tanzilli
9. Schizofrenia e disturbi psicotici – Tommaso Boldrini
10. Le psicoterapie: modelli e applicazioni cliniche – Laura Muzi
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Cathy Lomax, She was conflicted. ©Bridgeman Images.
Jonathan Shedler Autore, relatore, ricercatore e consulente clinico.
Elena Camerone Psichiatra e psicoterapeuta.
Medico chirurgo (psichiatra, psicoterapeuta, neurologo, neuropsichiatra infantile)
Psicologo, Psicoterapeuta
Assistente sanitario
Educatore professionale
InfermierernInfermiere pediatrico
Tecnico della riabilitazione psichiatrica
Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva
Terapista occupazionale
Jonathan Shedler, nell’articolo pubblicato nel n. 1/2010 della rivista Psicoterapia e Scienze Umane in simultanea con l’eduzione originale americana, riesamina le evidenze empiriche sull’efficacia della terapia psicodinamica (Psycho-Dynamic Therapy [PDT]) detta anche “psicoterapia psicoanalitica”. Tali ricerche mostrano come la terapia psicodinamica sia efficace, e in molti disturbi mentali comuni (cioè ansia e depressione) superiore ai farmaci e ad altre terapie. La “dimensione del risultato” (effect size) della terapia psicodinamica è grande almeno quanto quella di altre psicoterapie che sono state attivamente propagandate come “supportate empiricamente” o “basate sulle evidenze” (evidence based). Ad esempio, la meta-analisi degli studi esaminati da Shedler mostra come la “dimensione del risultato” della terapia psicodinamica vada da 0.69 a 1.46, mentre quella delle terapie cognitivo-comportamentali da 0.58 a 1.0 (e la “dimensione del risultato” dei farmaci antidepressivi, tanto usati per la terapia della depressione, da 0.17 a 0.31, quindi nettamente inferiore). Non solo: spesso i pazienti trattati con una terapia psicodinamica mantengono i risultati e continuano a migliorare dopo la fine della terapia, come se avessero interiorizzato funzioni psicologiche che crescono nel tempo. È stato anche dimostrato empiricamente come le terapie non psicodinamiche possano essere efficaci, in parte perché i clinici più esperti utilizzano anche tecniche da sempre al centro della teoria e della pratica psicodinamiche. La diffusa opinione secondo cui gli approcci psicodinamici non sono efficaci non è in accordo con le ricerche scientifiche disponibili, e può dipendere da una diffusione selettiva dei risultati delle ricerche e anche da una non sufficiente conoscenza della letteratura scientifica più recente. Shedler spiega anche in dettaglio cosa si intende per “terapia psicodinamica”: non un termine generico, bensì riferito a una tecnica precisa, caratterizzata da “sette caratteristiche distintive”, così come sono emerse da ricerche empiriche, e sono descritte in termini clinici, privi di gergo psicoanalitico. L’articolo di Shedler è spesso citato ed è stato ripubblicato più volte, anche come capitolo 2 del libro curato da Paolo Migone, La terapia psicodinamica è efficace? Il dibattito e le evidenze empiriche (FrancoAngeli, 2021). Il volume contiene una decina di articoli pubblicati negli anni sulla rivista Psicoterapia e Scienze Umane riguardanti il problema della ricerca sulla efficacia della terapia psicodinamica.
Jonathan Shedler, psicologo clinico e ricercatore, è associate professor di Psichiatria presso la University of Colorado School of Medicine (USA). Ha diretto il Servizio di Psicologia del dipartimento di Psichiatria della University of Colorado.
Articolo pubblicato sulla rivista Psicoterapia e Scienze Umane, 2010, Volume 44, n. 1, pp. 9-34. Presentazione e traduzione di Paolo Migone.
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Lezione di Jonathan Shedler. Traduzione di Paolo Migone
Studio dell’articolo “L’EFFICACIA DELLA TERAPIA PSICODINAMICA” di Jonathan Shedler, Psicoterapia e Scienze Umane, Franco Angeli Editore