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NEVROSI OSSESSIVA

Egon Schiele, "Ritratto di Paris von Gütersloh", 1918. © Minneapolis Institute of Art/Bridgeman Images.
Crediti: 13 ECM
Costo: 52 €
Durata corso: 13h
Docente:

Carlo Brosio Psicoanalista membro ordinario con funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana e full member IPA

Responsabile corso:

Elena Camerone Psichiatra e psicoterapeuta

Concluso

NEVROSI OSSESSIVA

Razionale scientifico

Si propone un percorso di apprendimento e riflessione sulla nascita e lo sviluppo del fondamentale concetto clinico di nevrosi ossessiva nell’ambito della psicoanalisi.
I testi su cui si incerniera la discussione sono gli imprescindibili saggi freudiani sotto citati, i lavori della scuola kleiniana e post kleiniana e il lavoro monografico della “Rivista di Psicoanalisi” sulla nevrosi ossessiva a cura di Enrico Mangini, che offre un quadro dell’evoluzione del concetto clinico e della sua riconfigurazione alla luce del cambiamento di paradigma avvenuto con l’avvento della prospettiva interpersonale in psicoanalisi.

Gli scritti di Freud sulla nevrosi ossessiva
All’inizio del secolo con Il caso dell’uomo dei topi (1909) Sigmund Freud si trova davanti ad una delle più affascinanti e misteriose patologie mentali che contribuirà a far uscire dalle nebbie del misticismo ottocentesco permettendone una comprensione clinica. Le sue costruzioni esplicative resero praticabile un avvicinamento ai tormenti dell’ossessivo, ai suoi dubbi, ai suoi rituali e ruminazioni. La descrizione psicoanalitica della nevrosi ossessiva compiuta da Freud ha reso atto della lotta senza quartiere affrontata da questo giovane paziente contro la sofferenza psichica: la sua ambivalenza, il bisogno disperato di controllo delle emozioni, la lotta contro i desideri proibiti, la qualità rigida e implacabile delle sue proibizioni interne, la necessità, per sopravvivere psichicamente, di fare ricorso al pensiero magico.
Già nel 1907 in Azioni ossessive e pratiche religiose Freud focalizza il tema del rapporto fra ossessività e rituali cerimoniali indicando nella nevrosi ossessiva la religione privata dell’individuo. E ancora in Totem e Tabù (1912-13) torna sulla concordanza fra fenomeni ossessivi e rituali magici delle società arcaiche. Nel 1925 con Inibizione, sintomo e angoscia egli riprende più distesamente il concetto di “rendere non accaduto” già incontrato nell’analisi dell’Uomo dei topi, che qui diventa una delle radici del cerimoniale ossessivo e consente la comprensione della coazione a ripetere.
Il genio di Freud permise di assegnare alla nevrosi ossessiva un posto stabile fra i grandi quadri nosografici inaugurati dalla psicoanalisi: egli infatti definì la specificità eziopatologica di questa nevrosi dal punto di vista dei meccanismi di difesa (spostamento dell’affetto, isolamento, annullamento retroattivo), dal punto di vista pulsionale (ambivalenza, fissazione anale, regressione), topico (interiorizzazione di un super-io crudele) e relazionale (sado-masochismo, carattere anale).

I contributi successivi e il consolidamento del modello clinico-teorico: Anna Freud, la scuola kleiniana
I contributi successivi a Freud sono ben sintetizzati dalle osservazioni di Anna Freud presentate al termine del Congresso dell’International Psychoanalytic Association del 1965 sulla nevrosi ossessiva, che sostanzialmente ribadiscono le posizioni classiche: centralità dei fattori costituzionali responsabili dell’intensità anomala delle tendenze sadico-anali e della scelta da parte del nevrotico ossessivo degli specifici meccanismi di difesa che determinano il quadro sintomatologico. Aspecificità, dal punto di vista eziologico, della ricerca di cause determinanti il disturbo ossessivo nello sviluppo precoce del bambino; importanza delle relazioni famigliari e delle modalità di educazione nell’attivare invece la regressione e la conseguente fissazione alla fase anale determinata dalle tendenze libidiche costituzionali; difetto della funzione sintetica e conseguente difficoltà nella fusione di amore/odio, passività/attività, mascolinità/femminilità.
L’approccio alla nevrosi ossessiva è quindi rimasto saldamente ancorato ai concetti metapsicologici della tradizione classica, mentre si è assistito a sempre più sottili quanto utili distinzioni in ambito clinico-diagnostico fra nevrosi ossessiva propriamente detta, manifestazioni ossessive, carattere ossessivo, tratto e stile ossessivo. Si veda al proposito: Savo Spaçal, La nevrosi ossessiva, in A. A. Semi (a cura di), Trattato di psicoanalisi, Raffaello Cortina Editore, Milano 1989.
Grande lavoro è stato fatto, attraverso l’osservazione e il trattamento dei pazienti ossessivi, per individuare le peculiari difese che distinguono questa patologia: isolamento, spostamento, annullamento, depersonalizzazione sono i meccanismi difensivi specifici attraverso i quali l’ossessivo si protegge da angosce insopportabili.
Il successivo apporto della scuola kleiniana sviluppa il tema dell’ossessività individuando l’evolversi della qualità dei fenomeni ossessivi, che procedono da un’ossessività primitiva caratterizzata da angosce psicotiche legate al controllo e al dominio fino ai meccanismi ossessivi connessi alla riparazione dell’oggetto e accompagnati quindi dalla cura, dall’amore e dalla considerazione per esso.
Tra i più importanti successori della Klein, Donald Meltzer nel 1975 considera l’utilizzo difensivo dei meccanismi ossessivi in bambini autistici come tentativo di ipersemplificazione massiva dell’esperienza attraverso la separazione e il controllo onnipotente sugli oggetti interni o esterni.

La nevrosi ossessiva nel pensiero psicoanalitico contemporaneo: la monografia sulla nevrosi ossessiva a cura di Mangini
Nella letteratura internazionale contemporanea viene evidenziata la necessità di costruire condizioni di fiducia nella relazione analitica mantenendo viva l’attenzione ad evitare che il sintomo ossessivo aderisca, rinvigorendosi, alle ritualizzazioni del setting o dell’analista. Il peculiare metodo delle libere associazioni è infatti particolarmente ostico all’ossessivo che tende a vivere come una grave minaccia il libero flusso dei contenuti che si presentano alla coscienza come portatori di quote di emozioni avvertite come incontrollabili. La stessa interpretazione è spesso percepita dal paziente come contropartita quantitativa dell’onorario elargito all’analista quando non direttamente intrusiva e sadica. La relazione analitica è quindi costantemente polarizzata dal conflitto fra il bisogno dell’ossessivo di porre fine al proprio soffocante isolamento affettivo e la grande angoscia che promuove una condizione di intimità nel rapporto.
L’evidenza clinico-teorica dell’impossibilità di permanere oggi nel quadro concettuale di una psicologia unipersonale ancorata al modello pulsionale freudiano, di cui è paradigma la cura del paziente ossessivo, rende necessario costruire nuovi modelli psicopatologici e terapeutici che tengano conto dell’importanza non solo dell’equazione personale dell’analista, ma della complessa interazione della coppia analitica e degli apporti legati all’ipotesi traumatica dell’eziologia della sofferenza mentale. Un’ipotesi che, in questa prospettiva, supera l’eziopatogenesi del conflitto intrapsichico della nevrosi ossessiva, considera l’ambiente primario deficitario in relazione al predominio dei criteri quantitativi nelle prime relazioni oggettuali che non consentirebbe al bambino di sostare sufficientemente nell’area fusionale: una madre inadeguata a vivere essa stessa l’esperienza che sta attraversando non riuscirebbe a farsi usare come oggetto trasformativo accettando naturalmente la rinuncia temporanea a una chiara demarcazione del confine del proprio sé. L’indisponibilità materna nel donarsi generosamente, senza calcolo, ma con calore e pienezza al contatto mentale e fisico non fornirebbe quell’ambiente necessario alle esperienze appropriate alle prime fasi dello sviluppo del bambino.
Complessivamente nella collettanea di Enrico Mangini del 2005 dal titolo La nevrosi ossessiva che riunisce testimonianze di analisti impegnati nella terapia del paziente ossessivo, sembra assumere rilevanza la funzione interpretativa veicolata da interventi più interlocutori e narrativi, destinati non solamente alla descrizione del mondo interno del paziente, ma anche alla costruzione di una reciproca sintonizzazione che possa facilitare i processi evolutivi della coppia analitica (Stern, 1998). Diventa centrale l’idea che l’innesco traumatico sia alla base di questa patologia. Incontrando questi individui mortificati nel loro diritto a esistere, l’analista potrà affrontare il loro isolamento e le loro ritualizzazioni ponendosi in ascolto di quegli elementi non ancora sufficientemente strutturati per essere riconoscibili: sensazioni, disagi somatici, immagini mentali e quant’altro percorra il campo emotivo in cerca di consistenza e parola. L’insorgere di riverberi controtransferali costituisce l’unica traccia da poter seguire per raggiungere isole di affetti spesso sorprendenti.

Programma

Studio dei testi:

E. Fachinelli, La freccia ferma, Adelphi, 1992

S. Freud, L’uomo dei topi, Bollati Boringhieri, 1976

S. Freud, Azioni ossessive e pratiche religiose, Bollati Boringhieri